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NAAA Onlus

L’amore può essere pregiudizio?

13 ott 2005
[…] ‘Sarebbe importante che anche il NAAA., per quanto di sua competenza, facesse un’opera di sensibilizzazione e desse un’informazione adeguata sull’HIV ai futuri genitori adottivi.’[… il papà e la mamma di Francesca] Cari genitori, ho ripreso un passaggio della storia che leggerete qui di seguito per esprimere il mio pensiero e quello del Naaa in merito ai rischi sanitari.Abbiamo continuamente come operatori appelli, fotografie e segnalazioni di bambini ‘speciali’ inseriti nelle liste pubbliche dei paesi con cui operiamo (tutti e nessuno escluso). Bimbi speciali, che io penso anche speciali perché hanno scelto, anche a dispetto di condizioni difficili e precarie, soprattutto di vivere per ricevere amore. L’amore può essere pregiudizio? Noooooooooooooo, risponderemmo tutti ma quando ricevo le lettere Zig Zag sono molti i pregiudizi che trovo dentro e dietro le righe, ne cito solo alcuni: vorremmo un maschietto perché in famiglia ci sono tante femmine, oppure piccolo e come noi, quando non trovo scritto in esplicito di pelle bianca, oppure la più estrema riportata in una lettera di ‘fenotipo europeo’ o ancora piccolo fino massimo 20 mesi, come se i bimbi avessero la scadenza sotto i piedini. Ebbene le parole del papà e delle mamma di Francesca trovano dentro la mia coscienza, di genitore prima e di operatore anche, grande disponibilità a partecipare a questa sensibilizzazione ma ritengo che occorra prima formare le coscienze affinché le menti si chiudano ai pregiudizi di cui sopra. Ora torniamo all’esperienza del NAAA: ebbene Francesca è stato il primo caso HIV e vorrei davvero poter dire che non resterà l’ultimo perché conosciamo liste di bambini sieropositivi, però spesso anche a casa nostra, in Italia, il bambino sieropositivo è escluso per le disponibilità dei genitori aspiranti all’adozione. Addirittura nei decreti dei Tribunali si specificano i limiti dei rischi sanitari (sano e senza nessuna patologia cito il testo contenuto in un decreto) e anche in alcune relazioni dei servizi sociali viene specificato di non inserire un minore con rischi sanitari e/o derivante da situazioni problematiche (come se l’abbandono già di per sé non lo fosse, mah?!). Allora l’informazione possiamo passarla prima, ai corsi, ma davvero viene colta dalle coppie nella sua interezza questa possibilità? Spesso proprio quando allo Zig Zag racconto dei casi sanitari conosciuti prima o scoperti dopo, sento e leggo negli occhi dei più distanza, diffidenza, rifiuto… Ebbene i rischi sconosciuti, cioè che emergono quando si è arrivati a casa, non sono sommersi nella mia coscienza e nella comunicazione del NAAA, sempre allo Zig Zag racconto di Francesca come anche di altri bimbi (anche di bimbi con patologie invalidanti e gravi) e la domanda che puntualmente ricevo è: ‘Da quale paese arriva il bambino?’ Sempre mantenendo la riservatezza sulla famiglia, che è d’obbligo, quando dichiaro il Paese puntualmente non viene dai più inserito nella lettera Zig Zag… I più poi si difendono nel ‘Anche se ti nasce un figlio biologico puoi correre rischi e anche gravi sulla salute’ però dal momento che siamo già stati così provati (c’è stato anche chi mi ha detto e paghiamo) vogliamo certezze che sia sano e non sono casi isolati i genitori che rifiutano abbinamenti per situazioni sanitarie, compatibili con il bambino istituzionalizzato, ma davvero di lieve entità se paragonate al caso di Francesca e altri nostri bimbi. Ma allora, comunque la giriamo, la sensibilizzazione trova più menti aperte al pregiudizio che non. Proviamo allora a raccontare di chi ha, sapendolo prima, per esempio affrontato bimbi con malformazioni congenite … ci sono voluti 4/5 anni per cominciare a sensibilizzare e anche altre storie che avete letto vi possono confermare questo. Ma devo essere coerente con le coppie che hanno dato questa disponibilità e in loro ho sempre sentito che era la loro coscienza prima e poi il loro cuore che, senza pregiudizi, dicevano Sì al loro figlio. Loro stessi a volte si sono sorpresi di aver sentito di andare con così grande disponibilità verso la vita del loro bambino, qualunque essa fosse e soprattutto con l’incertezza, sapendolo, di pensare al dopo. Ma anche su questo fronte, in questo contesto, dove le letterine, le paroline, le schedine non c’entrano, eppure il segno fisico fa paura e quando, sempre allo Zig Zag, racconto di Gabriele, di Alessandro, di Filippo … il primo pensiero è: ‘Ma cosa diranno i nonni, gli altri e se poi … rimane il segno?’ I segni, i segni che ci portiamo dentro e che costruiscono la nostra coscienza, prepararsi all’adozione è importante ma prima di tutto bisogna sapersi mettere veramente dalla parte dei bambini e non solo perché piccoli, femmine, di 20 mesi, sane e con fenotipo europeo. E’ da questa sensibilizzazione che ancora occorre partire, purtroppo!!! Un’ultima considerazione la voglio dedicare a tutti i nostri genitori che hanno accolto, sapendolo e non, figli con rischi sanitari. Alcuni mi hanno concesso la fiducia di potergli rimanere accanto, di parlare, di arrabbiarci, di piangere, di pregare ma soprattutto di continuare a sapere del loro bambino o della loro bambina e di questo li ringrazio. Alcuni hanno condiviso, spesso al telefono, con me gli attimi successivi alle notizie così devastanti e drammatiche e in questo davvero ho trovato un segno importante per la mia di coscienza che forse mi aiuterà a stare sempre più dalla parte dei bambini. Ognuna di quelle telefonate è ben impressa nelle mia mente, da quel dolore ho cercato di cogliere spunti per passare messaggi ad altre coscienze. Quando si dice che l’esperienza è maestra, forse è in parte vero ma ritengo che la miglior sensibilizzazione la possano però fare le mamme e i papà di Francesca, di Gabriele, di Filippo, di Alessandro, di un piccolo bimbo vietnamita che per rispetto alle volontà dei suoi genitori non nominiamo, di Tommaso, di Tuan Vu, di Angeline, di Pauline… ed è per questo che il NAAA news vuole raccoglierle e raccontarle. Grazie, Cinzia Ci siamo interrogati a lungo se sia o meno il caso di raccontare ad altri la nostra storia, anche perché non si tratta di un consueto diario di viaggio, ma di un insieme di situazioni e sentimenti difficili da esprimere e forse anche da comprendere. La gioia, l’amore, la disperazione e la paura si sono intrecciati sulla strada della nostra post-adozione e c’è voluto del tempo per riacquistare la serenità ed il sorriso. La nostra storia si chiama HIV. Ma no, detta così, sarebbe una bestemmia! La nostra storia si chiama Francesca, una splendida bambina di cui siamo perdutamente innamorati: furba, simpatica, brillante, bellissima e, fra le altre cose, sieropositiva. In questa sede non possiamo (e non vogliamo) addentrarci nei dettagli della nostra avventura adottiva. Tralasciamo anche le molte difficoltà burocratiche affrontate durante l’iter adottivo, i molti intoppi e le ansie vissute e superate. Ci riconosciamo, per tutto questo, nelle molte storie riportate da questo giornalino. Desideriamo invece, se ci riusciamo, offrire alcuni spunti per far capire il senso di quanto abbiamo vissuto e imparato. Noi siamo una coppia normale, nel senso che, quando ci siamo resi disponibili all’adozione non intendevamo essere né degli eroi, né degli sprovveduti o dei superficiali. Ovviamente, non abbiamo pregiudizi razziali o di altro tipo; abbiamo sempre pensato che ogni vita, proprio in quanto esiste e vive, è un Miracolo della Natura. Però... c’è un però. Quando nei colloqui pre-adottivi l‘assistente sociale e lo psicologo ci hanno chiesto se eravamo eventualmente disposti ad adottare bimbi sieropositivi, la nostra risposta, seppur sofferta, è stata inequivocabile: «No». Oggi saremmo meno perentori nel rispondere, ma in quel momento ci sembrava la decisione più saggia e responsabile. Essere consapevoli dei propri limiti non è forse un segno di maturità? Col nostro decreto di idoneità e con quella nostra indisponibilità messa nero su bianco nella relazione sociale, ci siamo rivolti al NAAA. Espletate tutte le peripezie burocratiche e trascorsa l‘interminabile attesa, finalmente arrivò quel giorno, quel giorno in cui i nostri occhi (e il nostro cuore) incontrarono gli occhi (e il cuore) di Francesca. Tantissima emozione ed un ‘immensa gioia! Certo: qualche impaccio iniziale e qualche acciacco di salute, tipico peraltro di molti bambini, soprattutto quando si trovano in stato di denutrizione... Tuttavia l’ambientamento reciproco fra noi e Francesca fu rapido e felice. Senta enfasi, ma con indubbia sollievo, prendemmo atto che la nostra bambina era sana e non aveva problemi particolari, rassicurati, fra l’altro, anche dal test HIV, che risultava negativo. Al nostro ritorno a casa ci attendeva una commovente e calorosa accoglienza da parte dei famigliari ed amici. Tutto fila va nel migliore dei modi. Trascorso un po’ di tempo, il pediatra ci ha suggerito di fare gli esami del sangue di routine. Detto fatto, abbiamo vissuto con molta tranquillità anche questo appuntamento. Come potevamo immaginare la doccia fredda che stava per investirci? Il giorno seguente, infatti, il pediatra, molto imbarazzato e con parole molto misurate, ci ha invitati a recarci tempestivamente al reparto pediatrico dell’ospedale, perché... bisognava verificare qualche dato sballato. Il “dato” era relativo all’HIV! Dal Paradiso ci siamo sentiti sprofondare nell’inferno. Quegli occhioni di Francesca che fino ad un attimo prima ispiravano tenerezza, gioia e voglia di vivere, sembravano ora trasmetterci paura, dolore e angoscia di morte. Quello sguardo, quel sorriso, quel pianto... ci avevano irrimediabilmente conquistati, ma facevano a pugni con il groviglio di domande e paure che tormentavano ora la nostra mente. Ma allora, quell’altro test? Com’è possibile? Quali saranno le conseguenze per la vita di Francesca? Cosa signifìca essere sieropositivi? AIDS vuol dire sofferenza e morte! E, sopratutto: come genitori, ce la faremo? Avremo le risorse per affrontare ciò che ci attende? Non avevano dubbi sul fatto di voler bene a Francesca; la nostra paura era proprio quella di non riuscire a trovare in noi le risorse per gestire questo problema. Per di più, era per noi difficile condividere con le persone esterne il nostro tormento interiore, in quanto i pregiudizi, le paure, le discriminazioni e l’ignoranza a proposito dell’HIV sono ancora troppo diffuse ed avrebbero reso la vita di Francesca precaria e difficile già da subito, senta nemmeno attendere gli eventuali sintomi della malattia. E quindi, di fronte ai complimenti ed alle monotone domande di parenti, amici e amici degli amici: Come sta Francesca? Sta bene? Siete stati fortunati! L’importante è che sia sana!... abbiamo dovuto fingere, recitando la parte e camuffando la rabbia che portavamo dentro. Questo ‘pugno nello stomaco’ rischiava davvero di metterci KO, sia come coppia, sia soprattutto, come genitori di Francesca. E invece - la meraviglia della Vita! - grazie anche all’incontro con qualche medico competente, grate all’appoggio dei nostri familiari, dei nostri amici più fidati e di qualche altra famiglia con figli sieropositivi, siamo riusciti a superare questa vera e propria crisi. Oggi conosciamo meglio gli aspetti clinici dell’HIV-AIDS, sappiamo che, seppure non è guaribile, è una malattia che si può tenere sotto controllo e curare, sappiamo che le prospettive di vita di Francesca sono buone. Sappiamo che si può vivere benissimo e senza particolari affanni con una persona sieropositiva. Certo, ci sarà bisogno di qualche piccola attenzione in più, si dovranno effettuare controlli medici periodici, si dovranno somministrare ogni giorno dei farmaci, ma per un figlio, per una Vita, si può fare questo ed altro. E senza eccessiva fatica. C’è voluto del tempo per elaborare la cosa, ma oggi, a tutti gli effetti, possiamo testimoniare che le paure e i tormenti sono acqua passata: la nostra è una famiglia serena e felice e per niente al mondo potremmo separarsi da Francesca. Questa è la storia che ci riguarda e di cui non vogliamo addentrarci oltre, anche se ci sarebbero tante altre cose da dire. Purtroppo, mentre noi oggi abbiamo maturato questa nuova consapevolezza, molte persone continuano a vivere nell’ignoranza più assoluta rispetto alle problematiche legate all’HIV. Sarebbe importante che anche il NAAA., per quanto di sua competenza, facesse un‘opera di sensibilizzazione e desse un’ informazione adeguata sull’HIV ai futuri genitori adottivi. I bambini sieropositivi nei paesi impoveriti del mondo sono tantissimi e le loro prospettive di vita, li dove sono, sono decisamente cupe. Noi non sappiamo se Francesca sarebbe ancora in vita, qualora fosse rimasta dov‘era. Il nostro incontro con lei è dovuto ad un ERRORE, ad uno scherzo del destino. E davvero, oggi, ringraziamo Dio o il destino per questo scherzo. Non ci interessa più di tanto andare a scavare su quell’errore, anche se restiamo convinti che i genitori adottivi dovrebbero essere messi nelle condizioni di compiere scelte consapevoli e responsabili.Da un lato vorremmo che questi errori non si ripetessero più, dall’altro, a posteriori, riteniamo che sia ancor più importante che i futuri papà e mamme, durante i fatidici colloqui con assistenti sociali e psicologi, prima di dire un deciso ‘No” rispetto all’eventuale adozione di bimbi “speciali”, riflettano un attimo, si informino per bene, interroghino il proprio cuore e solo dopo decidano di conseguenza. Questo, e solo questo, è l’intento di questo nostro scritto. Il papà e la mamma di Francesca