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BOLIVIA: Senza Famiglia (un reportage di M. Furlan)

PeaceReporter 16 maggio 2006

29 mag 2006
Da: Una serata tra i ragazzi di strada di Santa Cruz, fra gli sguardi duri di una vita amara e difficile. Santa Cruz, capitale economica e crocevia dello sviluppo boliviano, fino a 20 anni fa era una piccola città. Finita l’epoca delle miniere, si è sviluppata l’agricoltura dando impulso alla coltivazione della soia e a grandi allevamenti. br>Questa provincia, da sola, è più grande dell'Italia ed è la parte pianeggiante della Bolivia. La città, febbricitante di commercio, è attraversata dal vento che alza la polvere, tanto che alla sera hai gli occhi che bruciano. Alloggiamo a Casa Mitai, un progetto per aiutare i ragazzi lavoratori di strada. Niños de la calle. Il “Techo Pinardi”, progetto di accoglienza notturna per ragazzi di strada, diretto dai salesiani, è a pochi passi da Casa Mitai, nella zona centrale della città. Uno dei giorni precedenti, passando, avevamo incontrato Paolo, un giovane veneziano che da due anni fa servizio in questa casa. Ci aveva detto di tornare dopo le 7 di sera, quando i ragazzi arrivano. A Santa Cruz in questa stagione (autunno) il sole tramonta alle 18. E' già scuro quando arriviamo al Techo Pinardi. Un giardino, una tettoia, un piccolo campetto da calcetto, edifici a un piano tutto attorno, e una grande immagine di don Bosco giovane. Gli sguardi dei ragazzi ci sfiorano e non si fissano. Paolo compare e mi saluta, ma subito un ragazzino gli si avvicina. Lui gli chiede se si sia lavato, il ragazzino sorride e annuisce, e Paolo per capire se è vero gli annusa la testa. Poi mi chiede scusa e mi lascia perché sta seguendo un'attività. All’ultimo goal. I ragazzi vanno e vengono: chi fa la doccia, chi va in infermeria a curarsi qualche ferita. Nel campetto da calcio, quattro ragazzini stanno giocando. Uno di loro, appena mi vede, chiede: "Facciamo una partita?". Divide rapidamente il gruppo, chiama altri e si inizia. Non mi sono presentato, non serve. Mi metto in porta. La palla è flaccida, ma per giocare basta qualcosa che assomigli ad una palla. Io ho le scarpe, loro no: chi è a piedi nudi e chi indossa una ciabatta, ma solo sul piede che serve per tirare. La palla non vuole correre e il gioco sembra diventare una lotta libera. I ragazzini si muovono come una nuvola attorno a un pallone che non può andare lontano e il gioco diventa un corpo a corpo, una disputa piede contro piede. Comunque si riesce anche a fare goal. Ad un certo punto si stancano e spariscono. A dama con gli scacchi. “Il Techo Pinardi è la prima tappa – racconta Jesus, educatore del centro - Noi qui accogliamo i ragazzi per dormire. Apriamo alle 18 per l’accoglienza, fino alle 22, e poi la mattina alle 8 tutti fuori. A chi vuole uscire dalla vita di strada proponiamo per un mese di dormire qui e durante il giorno di andare in un'altra casa dei salesiani, dove si studia e si fanno attività educative. Noi non spingiamo perché vadano a lavorare. Dopo un mese di lento inserimento possono andare in una delle nostre case di accoglienza”. Accanto a noi due ragazzi di 12 anni giocano a dama con le pedine degli scacchi. Quando uno di loro arriva a fare dama, la pedina si trasforma in una regina che si muove in tutte le direzioni: ogni paese ha il suo modo di giocare. Arrivano grida dal cortile. È ora di andare a mangiare. Seguo il gruppo al refettorio. I tavoli sono rotondi e i ragazzi siedono sugli sgabelli. I sei educatori in piedi. Paolo prende la parola e parla delle attività e degli appuntamenti. Gli sguardi. I ragazzi hanno volti magri, tesi, pieni delle ferite della strada. Chi ha denti rotti, chi un occhio chiuso. Tutti hanno capelli nerissimi e diritti. I volti dei poveri sono sempre pronunciati: lineamenti forti, così lontani da quelli dei fotomodelli. La maggioranza è di Santa Cruz. Osserviamo le loro mosse. Sono più controllati che sulla strada. Lì sono i padroni, si muovono agili, le regole le fanno loro, sono imprevedibili e minacciosi. Qui invece si sottomettono alle regole, pur con grandi sforzi. Lo stile resta aggressivo, giocano e si provocano continuamente. Arriva il piatto con il cibo e ancor prima che vengano distribuiti i cucchiai si mettono a mangiare con le mani. Riso, carne, pomodoro a cubetti. Divorano tutto velocemente: la fame è tanta. Gli ossi della carne li sputano al centro del tavolo. Storia di tutti i giorni. Non serve chiedere qual è la loro storia e perché sono sulla strada: è sempre la stessa solfa. Non hanno famiglia, erano poveri, vivevano in un tugurio. Tutte storie di povere famiglie o di famiglie inesistenti o assenti. Storie di abbandono. Figli di nessuno. Naufraghi di una nave affondata nella tempesta, afferrati a una fragile tavola, a un istinto di sopravvivenza in lotta con un mare che vuole solo ingoiarli. Entra una ragazza, vede un posto libero, si siede, reclama il piatto. Ha gli occhi lucidi: ha sniffato colla. Gli altri la prendono in giro, lei non cede, urla più forte. Nessuno molla e cominciano le minacce. Nessuno cede. Intervengono gli educatori e la spostano a fatica in un altro tavolo. È la legge della strada: mai cedere, colpire per primo, mai farsi mettere sotto, mai arrendersi, tener duro fino alle botte. La ragazza ha circa 15 anni, un linguaggio e un comportamento che evidenziano un passato lastricato di aggressività e violenza. Arriva l’infermiera con la sua scatoletta. Vaccinazione contro la rosolia. In Bolivia c’è la campagna per vaccinarsi gratuitamente. Tutti si mettono in fila, ma la maggioranza ha paura della puntura sul braccio. E’ strano vedere ragazzi che lottano ogni giorno per sopravvivere, tremare e retrocedere di fronte a una puntura. E' l’ora dello svago. C’è il corso per giocolieri. Due ragazzi tedeschi hanno portato tutti gli attrezzi: palline, cerchi, birilli, piatti, e un monociclo. Molti prendono gli attrezzi e fanno pratica, mentre più in là un altro gruppo sceglie il ping pong. Un ragazzino si allontana, lo seguo con lo sguardo e lo vedo vomitare sull`erba. Dopo aver sputato tutto ritorna e mi dice che è colpa della droga che ha inspirato. Sono quasi le 10 di sera, i due tedeschi raccolgono gli attrezzi. I ragazzi vanno a dormire. Li saluto. Uno di loro mi dice: “Zio, vieni anche domani a insegnarci il ping pong?”. Gli rispondo: “Certo, domani la seconda lezione”. Mi guarda con il suo sorriso sdentato e mi dice, in italiano: "Buonanotte".