Una scelta d’amore

Gian Marco Khanh e’ nato a Tay Ninh, una cittadina a cento chilometri da Saigon, nel sud del Vietnam, il 6 maggio 2001. La sera del 15 settembre 2001, noi siamo diventati i suoi genitori, quando abbiamo detto a Cinzia il nostro si’ per l’abbinamento... Quel giorno, che rimarra’ sempre impresso nella nostra mente, era cominciato con una prima telefonata di Cinzia in cui ci diceva: “C’e’ un bambino, e’ un maschietto, sta bene, e’ positivo all’epatite C. Se volete accoglierlo, lui ha bisogno di voi!”. Di tutte le emozioni scaturite da quelle poche frasi, cio’ che ci preoccupava davvero era il grosso punto interrogativo emerso prepotente nel sentire “ha l’epatite C”. Che cosa vuole dire epatite C? Che malattia e’? Si cura? Si guarisce? È grave? È contagiosa? In una manciata di ore abbiamo cercato di mettere qualche punto fermo di fronte a tutti questi interrogativi; comunque e in maniera del tutto indipendente, il nostro amore per questo bambino tanto desiderato e atteso diventava sempre più grande. Forti di questo amore, siamo riusciti a contattare, per non dire a “scocciare”, almeno cinque medici specialisti internisti e immunologi e il quadro emerso e’ stato questo: l’epatite C (HCV) e’ un’infezione da virus che, attraverso il sangue, colpisce il fegato e li’ si riproduce. L’autodifesa dell’organismo, tramite gli anticorpi, non riesce a debellare autonomamente tale virus, che continua quindi piano piano a distruggere le cellule del fegato. Tali cellule vengono sostituite da nuove cellule che il fegato produce continuamente reagendo all’attacco. Esse pero’ hanno la caratteristica di essere più “rigide” delle altre e la loro rigidita’ puo’ determinare il fatto che il fegato perda lentamente (si parla di 20-40 anni) la sua funzione di filtrare il sangue, con tutto quello che ne puo’ seguire. Nei Paesi Orientali, come il Vietnam, e’ una malattia endemica, cioe’ una grandissima percentuale della popolazione ne e’ affetta e spesso non se ne accorge neanche perche’ puo’ essere completamente asintomatica. Anche in Italia non e’ raro che venga evidenziata in persone senza alcuna sintomatologia, quando esse si sottopongono ad esami di routine. Quando un neonato risulta positivo all’HCV significa che ha contratto il virus per via materno fetale e quindi le possibilita’ che si immunizzi passivamente sono alte. Fino a diciotto mesi di eta’ non e’ pero’ possibile capire se la positivita’ e’ dovuta ai soli anticorpi che reagiscono al sangue materno o se e’ la malattia vera e propria. Nel primo caso entro l’anno e mezzo la malattia sparisce e comunque fino ad allora la malattia non e’ in atto. Potendo disporre di una cartella di esami ematologici, si possono tuttavia osservare degli indizi importanti, quali ad esempio la parte alcalina alta e le transaminasi alte (gamma GT, ALT, AST): ripetendo gli esami a distanza di un paio di mesi, se si rileva un graduale avvicinamento verso i valori normali, probabilmente restandone sempre al di sopra, lascia dedurre che l’immunizzazione e’ gia’ cominciata. Un gastroenterologo che lavoro’ diversi anni nel dipartimento di Immunologia Infettiva dell’Ospedale Infantile di Torino Regina Margherita ci disse che in almeno il 95 % dei casi i neonati con HCV si immunizzano passivamente. Il 3-5 % sviluppa la malattia. In questo caso, cioe’ che l’immunizzazione non avvenga e quindi il bimbo abbia contratto effettivamente l’HCV, fino ad almeno sedici anni di eta’, la malattia non si cronicizza e quindi non e’ necessario sottoporlo a delle cure. In seguito si potra’ curare con farmaci specifici che saranno sicuramente migliori e più efficaci degli attuali, che comunque gia’ esistono e funzionano e per i quali negli ultimi dieci anni si sono registrati notevoli progressi. Tenendo presente che il campo delle malattie immunologiche e’ particolarmente studiato e approfondito dalla ricerca Medica Internazionale ed e’ quindi in costante evoluzione, le aspettative per un vaccino o una cura definitiva non sono cosi’ remote ( www.humanitasalute.it ). Occorre dire che ad oggi non esiste il vaccino anti-HCV, (mentre esistono quelli per altre epatiti, fortemente consigliati ai soggetti HCV positivi), e per quanto riguarda il rischio di contagio, questo avviene per via ematica (sangue con sangue) o attraverso gli umori corporei. Ma l’effettivo rischio di contagio e’ estremamente ridotto sia nel contesto famigliare che in quello sociale. Pur non essendo medici, eravamo soddisfatti delle informazioni che avevamo raccolto. Aggiungendo a queste tutto il nostro amore per un bambino che, tra l’altro, mentre poteva essere facilmente curato in Italia, avrebbe invece visto messo a serio rischio il suo gia’ precario stato di salute se fosse rimasto in Vietnam ancora per altro tempo, non potendo contare su altre vaccinazioni, su una alimentazione adeguata ne’ condizioni igieniche idonee, ci siamo affidati alla Provvidenza e abbiamo detto SI! incominciando da quel fantastico giorno a trepidare di partire il più presto possibile. Il 7 aprile 2002 nostro figlio di dieci mesi, magrolino e “verdolino”, faceva il suo ingresso in Italia in braccio alla sua mamma Anto. Il 7 giugno 2002, la responsabile del dipartimento di Immunologia Infettiva dell’Ospedale Infantile Regina Margherita, dopo una giornata di Day Hospital, redigeva il seguente responso: “Nato da madre HCV+, non ha contratto l’infezione. Normalizzazione dell’enzimogramma epatico e degli indici di funzionalita’. Non necessita di ulteriori accertamenti.” Abbiamo festeggiato per tutta l’estate e ancora oggi, che aspettiamo di poter accogliere “una fratellina”, come dice Gian Marco Khanh, rendiamo grazie a Dio per averci aperto il cuore e averci guidati verso una scelta d’amore.