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Figlie perdute di Cina

27 giu 2011
In un libro il dramma delle bimbe nel Paese. Parla l'autrice.Da 22 anni Xinran, giornalista e scrittrice cinese, dedica la sua vita a comprendere cosa significa essere donne nel suo Paese. Quando ci si arriva, a essere donne. Nel suo ultimo libro, Le figlie perdute della Cina (252 pagine, 17,60 euro, Longanesi), l’autrice ha raccontato l’effettiva possibilità che il sesso femminile ha di venire al mondo e poi vivere e crescere in quello che fu il paese di Mao. Da quando sono state legalizzate le adozioni internazionali, nel 1993, ogni anno centinaia di figlie cinesi vengono rapite e vendute, sottratte alle famiglie che le lasciano innominate, in segno di totale dispregio. Attraverso questo volume e il suo lavoro con l’associazione The Mother’s Bridge of Love, la giornalista ha cercato di restituire a queste persone una dignità e, soprattutto, la propria esistenza. Ecco l’intervista che ha rilasciato a Lettera43.it. DOMANDA. Xinran, perché una figlia “non perduta” come lei ha deciso di dedicarsi a questo tema? RISPOSTA. Prima dei trent’anni non sapevo nulla di ciò che accadeva alle bambine. Durante la mia prima visita in campagna, nel 1989, ho scoperto tutto questo e mi sono chiesta: «Come ho fatto a non scoprirlo prima? Anche mia madre ne è stata coinvolta?». D. È da allora che ha cominciato a lavorarci su? R. Sì, e continuo a farlo tuttora, per aiutare e aiutarmi a capire il passato e il futuro. Lo faccio per me e per mia madre. D. Qual è la reale condizione delle donne in Cina? Si dice che le ragazze sono come le bacchette per il cibo, facili da spezzare. Mentre i maschi sono le travi della casa, la struttura portante. Nel Nord i padri non si disturbano nemmeno a scegliere un nome per le bambine: si limitano ad assegnar loro dei numeri. D. Però guardando chi lavora nei ristoranti, per esempio, sembra che le donne siano fondamentali per l’economia. R. Una ragazza cresce con la consapevolezza di dover lavorare più sodo e fare meglio di tutti gli altri. Per questo vanno all’estero, in Italia, in Gran Bretagna, assumendosi molte più responsabilità di quanto non facciano i padri stessi. D. Leggendo il suo libro, la famiglia cinese sembra molto simile a quella giapponese. R. Dal Giappone alla Corea, da Singapore alla Cina, fino alla Malaysia, le persone vivono la stessa cultura, con gli uomini convinti di poter fare ciò che vogliono. La politica non c’entra niente: è la cultura che insegna alle donne che il loro posto è al fondo della società. D. Quali sono secondo lei le ragioni di queste somiglianze? R. In Asia la religione è arrivata molto tardi rispetto alle civiltà occidentali, l’uomo quindi era considerato un dio in terra. Inoltre la famiglia asiatica si fonda sul maschio, che ne è a capo, e quindi rappresenta il potere. D. Perché in Cina anziani e donne scelgono la via del suicidio? R. Il suicidio di una donna è motivo di orgoglio e permette di usufruire di alcuni benefici da parte delle autorità locali e dallo Stato centrale. Durante la mia trasmissione radiofonica, (Parole nel vento della sera, ndr) ho parlato con molte ragazze che poi si sono suicidate per non apparire donne indegne. D. Come vivono questi eventi le persone che rimangono? R. Dipende da chi sono e da dove vivono. Nella città le persone hanno la forza e la sensibilità di portare con sé questo dolore. Invece nelle campagne i padri o i mariti dicono: «Vedi, mia figlia ha ripulito il nome della sua famiglia», oppure «Guardate mia moglie: non avendo potuto darmi un figlio maschio, si è suicidata». D. In che modo la corruzione in Cina ha influenzato il controllo delle nascite e lo sterminio delle bambine? R. Chiedete a ogni tassista cinese in una grande città quanti figli ha: sicuramente vi risponderà più di uno. E se volete sapere come ha fatto, lui vi dirà: «Basta pagare». D. Qual è la situazione degli orfani in Cina? R. Gli orfanotrofi ora lavorano a stretto contatto con le autorità locali e questo alletta molto la mafia, responsabile del rapimento di 20 mila bambini all’anno. I maschi sono rivenduti a quelle famiglie cinesi che, non potendone avere, li comprano. Prima del 1993, anno dell’internazionalizzazione delle adozioni, nessuno se ne occupava: ora sono un vero business. D. La legge prevede la distribuzione di anticoncezionali. Perché sembra che nessuno li usi? R. Bisogna distinguere tra la città e la campagna. Nelle aree più remote del Paese questo diktat non è mai arrivato, manca ogni tipo di controllo. Le coppie si nascondono e proprio in questa situazione aumenta la possibilità di gravidanze multiple. D. Dopo aver conquistato i primi posti tra le potenze economiche mondiali, lei pensa che la Cina potrebbe imporsi sull'Occidente anche a livello culturale? R. Me lo domando ogni volta che ritorno in Cina. Negli anni Novanta si sono fatti strada i primi dubbi sul modello americano, considerato il migliore. Molti ragazzi oggi vanno alla ricerca delle proprie radici, aiutando così la cultura cinese a sopravvivere. D. E le donne che ruolo avranno? R. Saranno loro a mantenere stabile la famiglia e la società. Tuttavia, molte non vogliono prendersi le responsabilità di essere mogli o madri e anche se sono d’accordo con il loro diritto di essere libere, resta la domanda: qual è oggi il valore della famiglia? E non è che tutti noi - cinesi e italiani - stiamo rischiando di perdere questo patrimonio e, con esso, la sfida con il futuro?

fonte: wwww.lettera43.it Venerdì, 24 Giugno 2011 di Stefania Leo