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Da un Sogno ad un abbraccio

“Beati i giorni brutti, che hanno preparato i giorni belli” (G. Verga)

Da un Sogno ad un abbraccio
17 dic 2004

Non ci aspettavamo che fossi cosi’. Come tutti avevamo idealizzato il nostro bambino; come tutti avevamo creato la nostra proiezione mentale. Poi la realta’ ha superato la fantasia, semplicemente. Meravigliosamente. Ora ci svegliamo al suono della tua vocina, con i tuoi argentei gridolini, col tuo sorriso solare. Ci svegliamo ogni mattina pensando che anche oggi sara’ una giornata bellissima! Ah, come sembrano lontani i giorni in cui temevamo di non farcela....Partiamo alla volta di Kathmandu-Nepal un giorno di fine luglio di un’estate caldissima, dopo una settimana di frenetici preparativi, con la valigia piena di emozioni contrastanti: aspettative accanto a timori, le speranze insieme ad ansia ed impazienza. Giunti in quel paese cosi’ lontano e cosi’ diverso, attraversiamo in preda ad una sorta di ebbrezza i pochi (o molti?) chilometri per raggiungere il nostro hotel. Qui incontriamo Sanu, il nostro referente locale e caro amico. Finalmente un volto conosciuto. Non riusciamo ancora a renderci conto di essere arrivati nel misterioso oriente, dall’altra parte del mondo, che si riparte. Sanu, infatti, ci comunica che abbiamo appena il tempo di una doccia prima di andare al Bal Mandir, l’istituto che ospita nostro figlio. Ora saliamo le scale di quest’edificio grandioso e fatiscente, avvolti da odori di tutti i generi. Ora ti abbiamo tra le braccia. Ora la nostra vita e’ cambiata. Fabrizio Prabhat e’ con noi. Ci troviamo nell’ufficio della direttrice, insieme alle altre coppie che, come noi, stanno incontrando i loro figli. C’e’ Jacopo, un delizioso “torello” di 15 mesi, che seduto per terra, presta tutta la sua attenzione ad un biscotto, mentre due genitori ancora increduli lo guardano. Poi, arriva Irajan. Ha cinque anni e mezzo, passati chissa’ come e chissa’ dove, due grandi occhi neri profondi ed impauriti in cui si poteva leggere tutta la sua storia di abbandono. Resta li’, sull’attenti come un soldatino, un’espressione grave in volto. Abbiamo pianto tutti e abbiamo capito chiaramente quanto fosse delicato ed importante quel momento.Siamo tornati in hotel e, mentre mamma Rossana provvede al primo indispensabile bagnetto, papa’ Giampiero procura il latte il polvere per la prima poppata “in famiglia”. Ci aspettano tre settimane di adattamento reciproco e di nuovi ritmi: ora l’orologio non segnera’ piu’ le ore, ma il rincorrersi di poppate, cambi del pannolino, nanne. Non abbiamo pero’ avuto il tempo di abituarci alla nuova esperienza a causa delle tue condizioni di salute. Quando sei arrivato, eri un po’ magrolino, avevi una dermatite e un po’ di catarro, tutte cose causate dallo scarso cibo e dalle precarie condizioni igieniche e sanitarie. Ci preoccupava inoltre il fatto che non reagivi ai suoni, tanto da farci temere danni permanenti all’udito. Il pediatra nepalese che ti ha visitato ha rilevato solo una brutta otite ed un po’ di bronchite e per questo ha prescritto una terapia antibiotica. Ma, nonostante i farmaci, il tuo stato di salute non sembrava migliorare, anzi. Una mattina, dopo una notte passata a controllare se respirassi ancora, decidiamo di farti visitare da un medico americano, in una clinica per escursionisti, la Ciwec Clinic. E’ stato allora che hai deciso di rilassarti, dando sfogo ai tuoi problemi di salute, per farti curare. La situazione e’ infatti improvvisamente precipitata e solo la prontezza e la competenza del bravo dottor Springer ci ha permesso di venirne fuori, superando anche due brevi arresti respiratori. Ora ci troviamo in un furgoncino adibito ad ambulanza, addirittura troppo basso per permettere alla flebo di funzionare correttamente, con la mamma che ti tiene in braccio, il papa’ che tenta di tenere il flacone della flebo abbastanza in alto, il medico (che, vista la situazione, ha deciso di accompagnarci) che mantiene la mascherina dell’ossigeno sul tuo visino arrossato dalla febbre e dall’esantema, diretti al Patan Hospital, a qualche chilometro di distanza dalla clinica. Siamo arrivati al pronto soccorso in uno scenario da film sulla grande guerra. Gente ammassata ovunque: sulle sedie, sulle barelle arrugginite, con i volti sofferenti di chi arriva in ospedale solo per problemi molto gravi. Ti portano in una stanza che dovrebbe essere una sorta di sala operatoria. Ti si affollano intorno, ti bucano ovunque per prelevare ora il tuo sangue, ora il tuo liquido spinale, mentre la mamma (rimasta straordinariamente lucida) ti tiene, e tu piangi senza piu’ fiato ed il papa’ tenta di districarsi nella burocrazia ospedaliera locale. Ci viene in aiuto ancora una volta Sanu, che provvede a farci assegnare l’unica stanza libera in un piano privato. La stanza ha addirittura il bagno. E pensare che solo poche ore fa eravamo in un lussuoso albergo, mentre adesso ci sembra di aver fatto un salto all’indietro di almeno 50 anni. Ora sei li’, disteso in un letto troppo grande, con il braccino assicurato alle lenzuola con due pinze, per evitare che l’ago della flebo fuoriesca e ci costringa a ripetere la straziante operazione di ricerca di una tua piccola vena. La mamma (sempre lei!) ti trattiene per impedirti di rigirarti, mentre tu continui a piangere senza voce. E’ un incubo. Ma, dopo pochi giorni, grazie alla straordinaria bravura dei medici, nonostante i pochi mezzi ed in un contesto tutt’altro che agevole, e soprattutto grazie alla tua voglia di farcela, l’infezione polmonare e’ stata sconfitta, l’otite e’ guarita e le perforazioni ai timpani si sono rimarginate, restituendoti l’udito. L’esantema che ricopriva tutto il tuo corpo e’ scomparso e, infine, sono arrivate le paroline magiche che tanto aspettavamo: “no fever”, niente febbre. Siamo usciti dall’ospedale, dopo una settimana di sofferenze e di angosce, provati nel fisico e nell’animo, ma finalmente fuori! Nei giorni seguenti e’ andata sempre meglio: reagivi, sorridevi, mangiavi e, soprattutto, respiravi. Sembrano davvero lontani quei giorni. E’ cosi’ piacevole ricordare l’ultima settimana: le gite a Bodnath, a Durbar Square, lo shopping nel quartiere del Tamel, con te che sgambettavi allegro nel marsupio. E che emozione quando, proprio alla fine, la sera prima della data prevista per la partenza, sono arrivati i documenti da Calcutta. Si torna a casa! Cosi’ e’ nata la nostra vita insieme. Cosi’ abbiamo conosciuto il Nepal, terra misteriosa e lontana, cosi’ piena di contraddizioni, ma che ci ha donato nostro figlio. Un pezzo del nostro cuore restera’ per sempre li’, insieme a quei bimbi che non hanno potuto lasciare l’istituto e che aspettano che un giorno, forse, arrivi anche per loro una mamma ed un papa’. Mamma e papa’