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Come fare

Faq adozione

Dal 30 marzo 2001 è entrato in vigore il D.P.R. n. 396/2000 "Regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile, a norma dell'art. 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127" pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale (S.O. al n. 303 del 30/12/2000). Si riportano qui gli articoli relativi alla tematica per le famiglie adottive. Art. 89 Modificazioni del nome o del cognome

  1. Salvo quanto disposto per le rettificazioni, chiunque vuole cambiare il nome o aggiungere al proprio un altro nome ovvero vuole cambiare il cognome perché ridicolo o vergognoso o perché rivela origine naturale, deve farne domanda al prefetto della provincia del luogo di residenza o di quello nella cui circoscrizione è situato l'ufficio dello stato civile dove si trova l'atto di nascita al quale la richiesta si riferisce.
  2. Nella domanda si deve indicare la modificazione che si vuole apportare al nome o al cognome oppure il nome o il cognome che si intende assumere.
  3. In nessun caso può essere richiesta l'attribuzione di cognomi di importanza storica o comunque tali da indurre in errore circa l'appartenenza del richiedente a famiglie illustri o particolarmente note nel luogo in cui si trova l'atto di nascita del richiedente o nel luogo di sua residenza.

Art. 90 Affissione

  1. Il prefetto, assunte informazioni sulla domanda, se la ritiene meritevole di essere presa in considerazione, autorizza con suo decreto il richiedente a fare affiggere all'albo pretorio del comune di nascita e di attuale residenza del medesimo richiedente un avviso contenente il sunto della domanda. L'affissione deve avere la durata di giorni trenta consecutivi e deve risultare dalla relazione fatta dal responsabile in calce all'avviso.

Art. 91 Opposizione

  1. Chiunque ne ha interesse può fare opposizione alla domanda entro il termine di trenta giorni dalla data dell'ultima affissione. L'opposizione si propone con atto notificato al prefetto.

Art. 92 Decreto di concessione del prefetto

  1. Trascorso il termine di cui all'articolo 87, comma 1, il richiedente presenta al prefetto un esemplare dell'avviso con la relazione attestante l'eseguita affissione e la sua durata.
  2. Il prefetto, accertata la regolarità delle affissioni e vagliate le eventuali opposizioni, provvede sulla domanda con decreto.

Art. 93 Esenzione fiscale

  1. In tutti i casi di cambiamento di nomi e cognomi perché ridicoli o vergognosi o perché rivelanti origine naturale, le domande e i provvedimenti contemplati in questo capo, le copie relative, gli scritti e i documenti eventualmente prodotti dall'interessato sono esenti da ognitassa.

Art. 94 Annotazioni ed altre formalità

  1. I decreti che autorizzano il cambiamento o la modificazione del nome o del cognome devono essere annotati, su richiesta degli interessati, nell'atto di nascita del richiedente, nell'atto di matrimonio del medesimo e negli atti di nascita di coloro che ne hanno derivato il cognome. L'ufficiale dello stato civile del luogo di residenza, se la nascita o il matrimonio è avvenuto in altro comune, deve dare prontamente avviso del cambiamento o della modifica all'ufficiale dello stato civile del luogo della nascita o del matrimonio, che deve provvedere ad analoga annotazione.
  2. Gli effetti dei decreti rimangono sospesi fino all'adempimento dellE formalità indicate nel comma 1.
  3. Per i membri di una stessa famiglia si può provvedere con unico decreto.

Interamente a carico del Servizio Sanitario Locale gli esami medici che le coppie devono sostenere per l'adozione internazionale. E' stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 6 giugno 2001 il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri che detta le linee di indirizzo in materia di servizi socio-sanitari. Nella tabella allegata al decreto si è finalmente fatta chiarezza sulla questione relativa al pagamento dei ticket sanitari da parte delle coppie di aspiranti genitori adottivi che intraprendono il percorso di adozione internazionale. Sono infatti interamente a carico del Servizio Sanitario Nazionale "le prestazioni medico specialistiche, psicoterapeutiche, di indagine diagnostica sui minori e sulle famiglie adottive e affidatarie". Niente ticket sanitari quindi per ottenere il decreto di idoneità, nè per presentare i documenti richiesti dall'autorità straniera del Paese d'origine del minore da adottare. Su questo tema si era già aperto in passato un ampio dibattito: l'art.82 della legge sull'adozione e l'affido (L.184/83), che prevede la gratuità di tutti gli atti e documenti relativi appunto ad adozione e affido, non era stata infatti ritenuta da più parti applicabile anche ai ticket sanitari. Il nuovo decreto ha finalmente chiarito ogni dubbio. Ndr. il DPCM in questione è un Decreto che è stato emesso ed è operativo con il solo “piccolo problema” che può essere interpretato ed eventualmente accettato dagli organismi preposti (ASL, Aziende Ospedaliere, Associazioni di medici e singoli medici) a loro piena discrezione. Chiaramente con la creazione dei precedenti, in teoria tutto dovrebbe diventare più facile, ma non è così perché anche solo nella stessa Regione (anche a livello Provinciale), vi possono essere organismi che lo applicano e altri no. Conseguentemente il DPCM esiste, può essere applicato, ma il tutto deve essere visto nelle specifiche realtà.

DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 14 febbraio 2001 ''Atto di indirizzo e coordinamento in materia di prestazioni socio-sanitarie'' in G.U. n. 129 del 6 giugno 2001

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Visto l'art. 2, comma 1, lettera n), della legge 30 novembre 1998, n. 419, laddove e' prevista l'emanazione di un atto di indirizzo e coordinamento che assicuri livelli uniformi delle prestazioni socio-sanitarie di alta integrazione sanitaria, anche in attuazione del Piano sanitario nazionale;

Visto l'art. 3-septies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n.502, e successive modifiche e integrazioni, in cui e' prevista la tipologia delle prestazioni socio-sanitarie e l'ambito dell'atto di indirizzo e coordinamento da emanarsi ai sensi del citato art. 2, comma 1, lettera n), della legge n. 419 del 1998;

Visto il decreto del Presidente della Repubblica 23 luglio 1998, recante "Approvazione del Piano sanitario nazionale per il triennio 1998-2000", con particolare riguardo alla parte relativa all'integrazione tra assistenza sanitaria e sociale;

Visto l'art. 8, commi 1 e 4 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modifiche ed integrazioni;

Visto l'art. 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281;

Considerata, quindi, l'esigenza di assicurare l'emanazione dell'atto di indirizzo e coordinamento relativo all'integrazione socio-sanitaria;

Vista l'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano in data 21 dicembre 2000;

Visto il parere della Conferenza Stato-città ed autonomie locali unificata con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano in data 21 dicembre 2000;

Consultate le province autonome di Trento e Bolzano, ai sensi dell'art. 3, comma 3, del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266;

Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri nella riunione del 26 gennaio 2001;

Sulla proposta del Ministro della sanità di concerto con il Ministro della solidarietà sociale;

Decreta:

Art. 1 Atto di indirizzo e coordinamento

  1. E' approvato il seguente atto di indirizzo e coordinamento.

Art. 2 Tipologia delle prestazioni

  1. L'assistenza socio-sanitaria viene prestata alle persone che presentano bisogni di salute che richiedono prestazioni sanitarie ed azioni di protezione sociale, anche di lungo periodo, sulla base di progetti personalizzati redatti sulla scorta di valutazioni multidimensionali. Le regioni disciplinano le modalità ed i criteri di definizione dei progetti assistenziali personalizzati.
  2. Le prestazioni socio-sanitarie di cui all'art. 3-septies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modifiche e integrazioni sono definite tenendo conto dei seguenti criteri: la natura del bisogno, la complessità e l'intensità dell'intervento assistenziale, nonché la sua durata.
  3.  Ai fini della determinazione della natura del bisogno si tiene conto degli aspetti inerenti a:
    1. funzioni psicofisiche;
    2. natura delle attività del soggetto e relative limitazioni;
    3. modalità di partecipazione alla vita sociale;
    4. fattori di contesto ambientale e familiare che incidono nella risposta al bisogno e nel suo superamento.
  4. L'intensità assistenziale e' stabilita in base a fasi temporali che caratterizzano il progetto personalizzato, cosi' definite:
    1. la fase intensiva, caratterizzata da un impegno riabilitativo specialistico di tipo diagnostico e terapeutico, di elevata complessità e di durata breve e definita, con modalità operative residenziali, semiresidenziali, ambulatoriali e domiciliari;
    2. la fase estensiva, caratterizzata da una minore intensità terapeutica, tale comunque da richiedere una presa in carico specifica, a fronte di un programma assistenziale di medio o prolungato periodo definito;
    3. la fase di lungoassistenza, finalizzata a mantenere l'autonomia funzionale possibile e a rallentare il suo deterioramento, nonché a favorire la partecipazione alla vita sociale, anche attraverso percorsi educativi.
  5. La complessità dell'intervento e' determinata con riferimento alla composizione dei fattori produttivi impiegati (professionali e di altra natura), e alla loro articolazione nel progetto personalizzato.

Art. 3 Definizioni

  1. Sono da considerare prestazioni sanitarie a rilevanza sociale le prestazioni assistenziali che, erogate contestualmente ad adeguati interventi sociali, sono finalizzate alla promozione della salute, alla prevenzione, individuazione, rimozione e contenimento di esiti degenerativi o invalidanti di patologie congenite o acquisite, contribuendo, tenuto conto delle componenti ambientali, alla partecipazione alla vita sociale e alla espressione personale. Dette prestazioni, di competenza delle aziende unita' sanitarie locali ed a carico delle stesse, sono inserite in progetti personalizzati di durata medio/lunga e sono erogate in regime ambulatoriale, domiciliare o nell'ambito di strutture residenziali e semiresidenziali.
  2. Sono da considerare prestazioni sociali a rilevanza sanitaria tutte le attività del sistema sociale che hanno l'obiettivo di supportare la persona in stato di bisogno, con problemi di disabilita' o di emarginazione condizionanti lo stato di salute. Tali attività, di competenza dei comuni, sono prestate con partecipazione alla spesa, da parte dei cittadini, stabilita dai comuni stessi e si esplicano attraverso:
    1. gli interventi di sostegno e promozione a favore dell'infanzia, dell'adolescenza e delle responsabilità familiari;
    2. gli interventi per contrastare la povertà nei riguardi dei cittadini impossibilitati a produrre reddito per limitazioni personali o sociali;
    3. gli interventi di sostegno e di aiuto domestico familiare finalizzati a favorire l'autonomia e la permanenza nel proprio domicilio di persone non autosufficienti;
    4. gli interventi di ospitalità alberghiera presso strutture residenziali e semiresidenziali di adulti e anziani con limitazione dell'autonomia, non assistibili a domicilio;
    5. gli interventi, anche di natura economica, atti a favorire l'inserimento sociale di soggetti affetti da disabilita' o patologia psicofisica e da dipendenza, fatto salvo quanto previsto dalla normativa vigente in materia di diritto al lavoro dei disabili;
    6. ogni altro intervento qualificato quale prestazione sociale a rilevanza sanitaria ed inserito tra i livelli essenziali di assistenza secondo la legislazione vigente.
  3. Dette prestazioni, inserite in progetti personalizzati di durata non limitata, sono erogate nelle fasi estensive e di lungoassistenza.
    1. Sono da considerare prestazioni socio-sanitarie ad elevata integrazione sanitaria di cui all'art. 3-septies, comma 4, del decreto legislativo n. 502 del 1992, e successive modifiche e integrazioni, tutte le prestazioni caratterizzate da particolare rilevanza terapeutica e intensita' della componente sanitaria, le quali attengono prevalentemente alle aree materno-infantile, anziani, handicap, patologie psichiatriche e dipendenze da droga, alcool e farmaci, patologie per infezioni da H.I.V. e patologie terminali, inabilita' o disabilita' conseguenti a patologie cronico-degenerative. Tali prestazioni sono quelle, in particolare, attribuite alla fase post-acuta caratterizzate dall'inscindibilità del concorso di più apporti professionali sanitari e sociali nell'ambito del processo personalizzato di assistenza, dalla indivisibilitàdell'impatto congiunto degli interventi sanitari e sociali sui risultati dell'assistenza e dalla preminenza dei fattori produttivi sanitari impegnati nell'assistenza. Dette prestazioni a elevata integrazione sanitaria sono erogate dalle aziende sanitarie e sono a carico del fondo sanitario. Esse possono essere erogate in regime ambulatoriale domiciliare o nell'ambito di strutture residenziali e semiresidenziali e sono in particolare riferite alla copertura degli aspetti del bisogno socio-sanitario inerenti le funzioni psicofisiche e la limitazione delle attività del soggetto, nelle fasi estensive e di lungoassistenza.

Art. 4 Principi di programmazione e di organizzazione delle attività

  1. 1. La regione nell'ambito della programmazione degli interventi socio-sanitari determina gli obiettivi, le funzioni, i criteri di erogazione delle prestazioni socio-sanitarie, ivi compresi i criteri di finanziamento, tenendo conto di quanto espresso nella tabella allegata. A tal fine si avvale del concerto della Conferenza permanente per la programmazione sanitaria e socio-sanitaria regionale di cui all'art. 2, comma 2-bis, del decreto legislativo n. 502 del 1992, e successive modifiche e integrazioni, o di altri organismi consultivi equivalenti previsti dalla legislazione regionale.
  2. La regione con il concorso della stessa Conferenza, svolge attività di vigilanza e coordinamento sul rispetto di dette indicazioni da parte delle aziende sanitarie e dei comuni al fine di garantire uniformità di comportamenti a livello territoriale. La programmazione degli interventi socio-sanitari avviene secondo principi di sussidiarietà, cooperazione, efficacia, efficienza ed economicità, omogeneità, copertura finanziaria e patrimoniale, nonché di continuità assistenziale.
  3. 2. Al fine di favorire l'integrazione con i servizi di assistenza primaria e con le altre prestazioni socio-sanitarie, la programmazione dei servizi e delle prestazioni ad elevata integrazione sanitaria rientra nel Programma delle attività territoriali, di cui all'art. 3-quater, comma 3, del decreto legislativo n. 502 del 1992, e successive modifiche e integrazioni. I comuni adottano sul piano territoriale gli assetti più funzionali alla gestione, alla spesa ed al rapporto con i cittadini per consentirne l'esercizio del diritto soggettivo a beneficiare delle suddette prestazioni.
  4. 3. Per favorire l'efficacia e l'appropriatezza delle prestazioni socio-sanitarie necessarie a soddisfare le necessita' assistenziali dei soggetti destinatari, l'erogazione delle prestazioni e dei servizi e' organizzata di norma attraverso la valutazione multidisciplinare del bisogno, la definizione di un piano di lavoro integrato e personalizzato e la valutazione periodica dei risultati ottenuti. La regione emana indirizzi e protocolli volti ad omogeneizzare a livello territoriale i criteri della valutazione multidisciplinare e l'articolazione del piano di lavoro personalizzato vigilando sulla loro corretta applicazione al fine di assicurare comportamenti uniformi ed omogenei a livello territoriale.

Art. 5 Criteri di finanziamento

  1. Le regioni, nella ripartizione delle risorse del Fondo per il servizio sanitario regionale con il concorso della Conferenza di cui all'art. 3, comma 1, tengono conto delle finalità del presente provvedimento, sulla base di indicatori demografici ed epidemiologici, nonché delle differenti configurazioni territoriali e ambientali.
  2. La regione definisce i criteri per la definizione della partecipazione alla spesa degli utenti in rapporto ai singoli interventi, fatto salvo quanto previsto per le prestazioni sanitarie dal decreto legislativo n. 124 del 1998 e per quelle sociali dal decreto legislativo n. 109 del 1998 e successive modifiche e integrazioni.

Art. 6 Norma di garanzia per le regioni a statuto speciale e per le province autonome

  1. Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano provvedono alle finalità del presente atto di indirizzo e coordinamento nell'ambito delle proprie competenze, secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti.

Il presente decreto verrà trasmesso alle competenti commissioni parlamentari e sarà pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.

Roma, 14 febbraio 2001 Il Presidente del Consiglio dei Ministri Amato

Il Ministro della sanità Veronesi

Il Ministro della solidarietà sociale Turco

Registrato alla Corte dei conti l'11 maggio 2001 Ministeri istituzionali - Presidenza del Consiglio dei Ministri

In seguito all’entrata in vigore delle tabelle costi determinate dalla Commissione per le Adozioni Internazionali, abbiamo dovuto constatare una certa difficoltà per i nostri “vecchi” aderenti a reperire informazioni circa le spese che sono chiamati ad affrontare.

Quotidianamente ci arrivano richieste di aiuto da parte degli operatori delle sedi decentrate, sommersi da domande di chiarimenti al proposito.

Coerentemente ai nostri protocolli, che impongono la totale uniformità di informazioni, e nell’ottica della massima trasparenza, portiamo alla Vostra conoscenza un riepilogo informativo della situazione costi.  

Consulta i costi procedurali

Siete stati giudicati idonei ad adottare un minore straniero dal Tribunale dei Minorenni e nessuno di noi metterà mai in discussione la vostra idoneità. Molte coppie sono preparate, hanno letto libri, parlato con altre coppie adottive, seguito dibattiti TV... il nostro non è un "corso" ma un incontro con la realtà dell'adozione internazionale che punta anche a far "conoscere" il Paese da cui verrà il vostro figlio e la realtà in cui dovrete vivere durante la vostra permanenza.

Noi non abbiamo nessun diritto di selezione delle coppie e soprattutto non lo vogliamo fare! La nostra è un'associazione di famiglie adottive nata per portare alla conoscenza ed alla diffusione, sensibilizzando l’opinione pubblica, dell’istituto dell’adozione il cui interesse è quello di dare una famiglia ad un minore, e non un minore ad una famiglia, con particolare riferimento a quella internazionale, in collaborazione con i Paesi e le istituzioni da cui provengono i minori adottati (dallo Statuto).

Pertanto il nostro scopo principale è aiutarvi a comprendere la realtà del figlio che vi apprestate ad adottare ma non a cercare un figlio a misura vostra in relazione alle vostre esigenze.

Tuttavia è nei nostri compiti darvi una destinazione "paese" adatta alle caratteristiche della vostra famiglia: non sarebbe corretto da parte nostra mettervi su un Paese dove non potreste adottare.

La famiglia che aderisce all’Associazione, se dovesse avere programmi adottivi già in corso con altre Associazioni, Enti, o altro è pregata di sospenderli, perché l’apertura di iter adottivi "multipli" al di fuori di NAAA Onlus, potrebbe provocare situazioni e problematiche spiacevoli, rendendo difficoltoso il lavoro di assistenza alla Famiglia stessa, e soprattutto creare problemi con il Paese estero interessato.

Una pausa di riflessione non fa male: è una decisione importante, a lungo desiderata, che può "mettere in crisi" quando si è così vicini. Se la coppia lo desidera possiamo gestirla insieme: abbiamo famiglie che hanno già adottato disponibili a incontrarvi, che hanno superato magari le stesse difficoltà che ora avete voi, possiamo farvi parlare con qualche nostro esperto fino quando voi riterrete che ogni dubbio sia scomparso.

I costi dell'adozione internazionale variano di Paese in Paese e rientrano in quelli previsti dalla Commissione per le Adozioni Internazionali (www.commissione.adozioni.it). Potete visualizzare la tabella costi, tenete presente che viaggio, permanenza e costi consolari sono esclusi.

Il NAAA chiede alle coppie l'apertura ad adottare in tutti i Paesi in cui opera perché ogni bambino, indipendentemente dalla sua origine, ha diritto ad una famiglia. Sarà la coppia a scegliere il Paese dove avviare la procedura adottiva, al termine della prima parte della formazione: l’Ente proporrà i Paesi più idonei al profilo familiare, tenendo ovviamente in considerazione anche le liste di attesa. In alcuni casi, per svariate ragioni, non è possibile individuare più Paesi di possibile destinazione e, pertanto, si procederà con una destinazione diretta, in accordo con la coppia.

Generalmente la famiglia termina la procedura d'adozione con l'arrivo del bambino in casa, nell'arco di 12/18 mesi dall'arrivo della documentazione al Paese estero di destinazione.

Il NAAA opera con Paesi che richiedono la permanenza delle coppie all'estero per un necessario periodo di affiatamento ed accettazione del minore in loco. Per ogni Paese abbiamo rappresentanti che parlano l'italiano o l'inglese, che si occupano di accogliervi al vostro arrivo e vi seguiranno come ombre sino alla vostra partenza. La sistemazione dipende dal Paese in cui andrete: va dalla famiglia che vi ospita all'albergo.

Sì, se la legge del Paese in cui si risiede lo consente. L'Adozione pronunciata dalla competente autorità di un Paese straniero su richiesta di cittadini italiani, che dimostrino di aver soggiornato continuativamente nel Paese e di avervi avuto la residenza da ALMENO due anni, viene riconosciuta in Italia con provvedimento del Tribunale dei Minori, purché conforme ai principi della Convenzione (art.36 - comma 4/476).

I cittadini italiani residenti all'estero possono presentare domanda per l’Adozione Nazionale ed Internazionale presso il Tribunale dei Minori dell’ultima residenza in Italia e, in mancanza di questa, al Tribunale dei Minori di Roma. L’elenco dei documenti che servono per la presentazione della domanda può essere richiesto direttamente al Tribunale dei Minori telefonicamente o attraverso una persona delegata. La domanda di adozione può essere presentata attraverso il Consolato presso il Paese di residenza. Il Consolato ha l’obbligo di inviare tutta la documentazione di inviare la documentazione alle autorità competenti in Italia anche se tale prassi ha generalmente tempi lunghi. Il Consolato può fornire la documentazione necessaria quale il Certificato di Residenza e lo Stato di Famiglia, per quanto riguarda l’Atto di Nascita e il Certificato di matrimonio lo dovrà richiedere ai comuni interessati.

Secondo la legge la scelta spetta al giudice delegato che può: avvalersi delle Autorità Consolari competenti nel Paese in cui la coppia risiede (art. 30 L. 184/83) ma non vi si menziona nulla a proposito di indagini psico-sociali; avvalersi dei Servizi Socio-Assistenziali del luogo dove la coppia è vissuta in Italia; avvalersi dei Servizi Sociali Internazionali anche se non hanno un ruolo codificato nelle procedure di Adozione Internazionale ma che vengo utilizzati dai Tribunali per i Minori.

Anche i residenti all'estero devono rivolgersi ad un Ente Autorizzato dalla Commissione per le Adozioni Internazionali.

Bisogna rientrare in Italia in quanto si deve richiedere alla Commissione per le Adozioni Internazionali l'autorizzazione all'ingresso in Italia del minore (ciò avviene tramite l'Ente Autorizzato scelto in precedenza) ed aspettare che la sentenza di Adozione straniera venga deliberata prima di potersi recare nel Paese di residenza. Successivamente il tutore nominato dal Tribunale dei Minori (nel caso di cittadini residenti all'estero sarà il Console Italiano del Paese in cui la coppia risiede) autorizzerà l'espatrio del minore. Bisogna anche tenere presente le leggi di adozione e di immigrazione nel Paese in cui si risiede: in alcuni Paesi può non essere riconosciuto il bambino come membro della famiglia sino a quando non sia emessa la sentenza definitiva e quindi non viene autorizzato l'ingresso per ricongiungimento familiare.

Il 50% delle spese sostenute dai genitori adottivi per l'espletamento delle procedure di adozione di minori stranieri certificate nell'ammontare complessivo dall'Ente Autorizzato che ha ricevuto l'incarico di curare la procedura di adozione disciplinata dalle disposizioni contenute nel capo I del Titolo III della L. 4 maggio 1983, n 184.

L'albo degli Enti Autorizzati è stato approvato dalla Commissione per le Adozioni Internazionali della Presidenza del Consiglio dei Ministri con delibera del 18 ottobre 2000, pubblicata sul S.O. n. 179 alla G.U. n. 255 del 31 ottobre 2000 e, pertanto, fino a tale data la deduzione è consentita anche se gli aspiranti adottanti si sono avvalsi di enti non autorizzati o hanno posto in essere le procedure di adozione senza l'aiuto di intermediari.

In questi casi la prova delle spese sostenute sarà fornita dalla certificazione rilasciata dall'ente che ha curato la procedura, da documentazione in possesso del contribuente o da autocertificazione rilasciata ai sensi della legge 4 gennaio 1968, n. 15.

Si precisa che tra le spese certificabili o documentabili sono comprese anche quelle riferibili all'assistenza che gli adottanti hanno ricevuto, alla legalizzazione o traduzione dei documenti, alla richiesta di visti, ai trasferimenti, al soggiorno all'estero, all'eventuale quota associativa nel caso in cui la procedura sia stata curata da enti, ad altre spese documentate finalizzate all'adozione del minore. Le spese sostenute in valuta estera devono essere convertite in lire italiane seguendo le istruzioni indicate nel modello di dichiarazione.

Quando si inizia una procedura di adozione internazionale non si è affatto sicuri sul momento della partenza, che normalmente avviene circa un anno dopo l'invio dei documenti all'estero. Gli aspiranti genitori adottivi sono semplicemente tenuti ad avvisare il datore di lavoro del fatto che hanno avviato la procedura adottiva e che potranno quindi usufruire dei congedi a loro spettanti, garantendo di comunicargli non appena possibile la data esatta della partenza.

E' previsto un congedo, non retribuito, per entrambi i genitori, di durata corrispondente al periodo di permanenza nello Stato Straniero richiesto per l'adozione, al fine di perfezionare, a norma lex loci, la pratica di adozione.(art. 39 quarter).

Le lavoratrici che abbiano adottato minori, o che li abbiano avuti in affidamento preadottivo, possono avvalersi dell'astensione obbligatoria dal lavoro per un periodo di 3 mesi (decorrenti dall'effettivo ingresso del bambino nella sua famiglia e che corrisponde all'ingresso della nuova famiglia in Italia), anche se il minore adottato ha superato i 6 anni di età.

E' usufruibile sia dalla madre adottiva che dal padre adottivo, in alternativa tra loro (o ne usufruisce la madre o ne usufruisce il padre).

Entrambi hanno diritto ad una indennità giornaliera pari all'80% della retribuzione per tutto il periodo dell'astensione. Trascorso tale periodo di astensione obbligatoria, entrambi i genitori possono usufruire di un periodo di astensione facoltativa di 6 mesi ciascuno, periodo che può essere anche frazionato (es. 2 mesi + 2 mesi + 2 mesi).

Qualora ne usufruiscano entrambi il periodo complessivo non deve superare i 10 mesi. Sarà corrisposta un'indennità giornaliera pari al 30%. Il congedo è usufruibile entro i primi tre anni dall'ingresso del minore nel nucleo familiare. (art. 39 quarter).

Si veda anche la normativa DL n°151 del 26/03/01 a norma dell'art. n°15 della legge n°53 dell' 08/03/00 (nuova legge di famiglia) ivi riassunta.

Abbiamo predisposto un documento a parte su questo argomento in quanto vengono riportati alcuni degli articoli di legge del DPR 396/2000 in vigore dal 30 marzo 2001 che ha modificato la normativa in merito.

Si, ma l’adozione deve avvenire in modo conforme alle direttive ivi emanate, cioè:

  • sia accertata la condizione di abbandono del minore straniero o il consenso dei genitori naturali;
  • gli adottanti abbiano ottenuto il decreto di idoneità e le procedure adottive siano state effettuate con l'intervento della Commissione e di un ente autorizzato;
  • le indicazioni contenute nel decreto di idoneità siano rispettate;
  • la Commissione abbia concesso l'autorizzazione all'ingresso e al soggiorno permanente del minore straniero adottato affidato a scopo di adozione.

L'affidamento consiste nell'inserimento di un minore temporaneamente privo di un idoneo ambiente famigliare, in una famiglia diversa da quella di origine. La dottoressa Francesca Ichino Pellizzi, nella sua ricerca sull'affido familiare asserisce: "L'affido familiare è una risposta ai problemi del minore il cui nucleo familiare sia temporaneamente (affido temporaneo) o indefinitamente (affido sine die) non in grado di provvedere al suo allevamento, educazione o terapia, e d'altra parte la situazione di disagio famigliare non sia risolvibile con un aiuto economico e/o sociale alla famiglia naturale, oppure con l'adozione, per l'assenza dei requisiti giuridici necessari".

Vi sono nuclei familiari che attraversano momenti di disagio e difficoltà che non si concretizzano in una forma di abbandono morale e materiale dei figli. Eppure i bambini risentono di certe situazioni. Un ulteriore permanenza nella famiglia di origine potrebbe provocare gravi danni sulla loro personalità. Il ricorso ad un istituto di assistenza potrebbe provocare nuovi guasti e, in ogni caso, non risolverebbe i problemi di fondo che sono all'origine delle difficoltà familiari.

L'inserimento in un famiglia "sostitutiva" può essere il modo più idoneo per assicurare al bambino quell'ambiente e quell'affetto necessari alla sua crescita.

L'affidamento famigliare è stato regolato dalla normativa nazionale a partire dal maggio 1983 con la legge 184 ma nasce alla fine degli anni '60 ed ha inizio nell'area torinese.

Nel 1971 è proprio la Provincia di Torino che regolamenta, tramite propria delibera, "l'affidamento familiare a scopo educativo" con lo scopo di ridurre e, ove possibile, eliminare il ricorso all'istituzionalizzazione per i minori.

Successivamente (1976) il Comune di Torino ha regolamentato l'affidamento familiare nell'ambito del territorio comunale focalizzando la sua attenzione ai bambini da 0 a 6 anni.

Le radici storiche forse meglio riescono a farci capire l'evoluzione dell'istituto dell'affidamento. Fra le persone di una certa età molti ricordano il vecchio termine "baliatrico" che consisteva nell'affidamento di un bambino ad una famiglia diversa da quella di origine: una nutrice diversa dalla madre naturale atta a soddisfare i bisogni nutritivi del bambino e che non si preoccupava dei problemi psicologici e sociali.

Il R.D. del 1926 n.718 prevedeva "i fanciulli minori di dodici anni compiuti devono essere di regola collocati presso famiglie, possibilmente abitanti in campagna, che offrano serie garanzie di onestà, laboriosità, attitudini educative e amorevolezza verso i bambini e dispongano inoltre di una abitazione conveniente e di mezzi economici sufficienti per provvedere al mantenimento dei fanciulli ricevuti in consegna. I fratelli e le sorelle debbono essere possibilmente collocati presso la stessa famiglia o almeno nello stesso Comune (art.176)". "Il padre o la madre di famiglia deve considerarlo e trattarlo come proprio figlio, curare che esso adempia ai propri doveri religiosi e frequenti regolarmente la scuola e avviarlo ad un mestiere o ad un'arte, tenendo conto delle attitudini da esso manifestate (art.177). Gli articoli della legge 184/83 che riguardano l'affidamento familiare sono i primi cinque. Con gli articoli 1 e 2 si afferma il diritto del bambino ad essere educato in maniera prioritaria in una famiglia (sia essa la propria od un'altra famiglia quando manchino le condizioni di ambiente familiare idoneo), il secondo comma dell'articolo 2 afferma il principio secondo il quale l'istituzionalizzazione deve essere L'ULTIMO intervento a cui ricorrere. Gli articoli 3, 4 e 5 definiscono in dettaglio le procedure relative all'affidamento; l'affidamento familiare è disposto dal servizio dell'ente locale su consenso del genitore che esercita la patria potestà, dei genitori o del tutore; qualora manchi l'assenso dei genitori e/o tutore può intervenire il Tribunale per i Minorenni.

Assolutamente no. Secondo questa legge in NESSUN CASO un bambino dato in affidamento familiare ad una coppia può essere da questa adottato. I presupposti per i due percorsi sono totalmente diversi, nel caso dell'affidamento viene scelta una coppia che si è data disponibile ad seguire il minore per un periodo di tempo più o meno lungo per sopperire ad un problema della famiglia naturale "temporaneo". Qualora le problematiche della famiglia si aggravassero e venisse a crearsi la situazione giuridica atta a dare il minore in adozione verrà scelta dal Tribunale dei Minori la famiglia con le caratteristiche per l'adozione.